NEET OVER 40, DA ESCLUSI A RISORSE

Nel mezzo del cammin della mia vita mi ritrovai… senza lavoro! Altro che selva oscura, dalla Generazione X in giù il vero “inferno” è proprio quello di perdere il posto di lavoro.
Fino agli anni del Covid, il fenomeno dei Neet (Not in Employment, Education or Training) sembrava una prerogativa della forza lavoro più giovane, mentre l’incidenza della pandemia sulle categorie professionali, i lavoratori autonomi e il mondo dell’impresa ha imposto nuove logiche a molti settori dell’industria e del business, tradizionale e non. In molti casi, a partire dal comparto dei servizi, si sono registrate chiusure di attività, casse integrazioni o contrazioni dei fatturati, con ricadute negative sul personale.
Un fenomeno che, dopo i contributi statali degli ultimi anni e i relativi sostegni ad aziende, lavoratori e famiglie, da fattore macroeconomico si sta traducendo in termini sociali colpendo proprio la fascia di età che dovrebbe trainare la ripresa economica.
Parliamo degli over 40 e 50, la fascia di età unanimemente rispondente alla classe dirigente
Secondo le più recenti rilevazioni Istat, in Italia si contano circa 3 milioni di Neet. I giovani che non studiano, non lavorano e non fanno formazione appartengono alla fascia di età compresa tra i 15 e i 34 anni. Molti di loro, tra abbandono scolastico e povertà educativa, non hanno mai avuto realmente un vero impiego.
A tutt’altre dinamiche rispondo invece i Neet over 40, spesso laureati, qualificati e con una notevole esperienza alle spalle. Un fenomeno del tutto particolare, a tal punto da sfuggire alle statistiche ufficiali. Ad oggi mancano ancora dati ufficiali, ma le proiezioni stimano che in Italia questa categoria includa oltre un milione e mezzo di persone. Cittadini che avevano costruito una propria stabilità, spesso genitori e con case di proprietà. Contribuenti fedeli, con tanto di mutuo e rata della macchina, che non riescono a tornare in sella dopo un'improvvisa caduta.
Seniority a doppio taglio
Se il mondo del lavoro guarda alla flessibilità e alla mobilità, il personale senior è spesso vincolato alla propria seniority. Un gioco di parole che racconta l’importanza di diversificare le proprie competenze, investire nelle pubbliche relazioni e sviluppare networking, sia online sia offline. In poche parole, continuare a lavorare su se stessi intanto che si svolge il proprio lavoro o professione.
Esistono i sussidi e diversi strumenti di tutela e sostegno. Una rete fondamentale, ma certamente un palliativo per coloro che stanno cercando di ritrovare il proprio posto nel mondo (del lavoro). Intanto la percezione di sentirsi esclusi aumenta, anche a fronte di agevolazioni e incentivi all’assunzione per di più rivolti alla fascia under 35.
Quali consigli per invertire la rotta?
Anzitutto ribaltando il punto di vista, passando dal ruolo dell’emarginato a quello della risorsa. Il primo passo è quello di valorizzare la propria esperienza, che in un mercato del lavoro sempre più fluido e complesso è sempre in cerca di certezze e di competenze spendibili.
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La prima, comune e riconosciuta agli over 40, è quella di “saper lavorare”.
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Ovvero di aver maturato una cultura del lavoro, di conoscere le dinamiche interne ad un team, di comprendere equilibri, bisogni e valori di un ambiente lavorativo.
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Senza dimenticare la preziosa disponibilità a trasferire know how e cultura aziendale alle figure junior.
Elementi non da poco per un contesto in continua evoluzione, ma che riconosce nell’efficienza e nei risultati le sue stelle polari. Un valore aggiunto che non può essere ignorato anche dal mondo HR.
Il ruolo del buon recruiter
La valorizzazione e il reinserimento dei Neet over 40 sono i prodotti di un lavoro di squadra.
Da una parte i candidati sono chiamati a riesaminare le proprie competenze, rimodulando il curriculum vitae secondo i linguaggi e le forme più aggiornate e utilizzando gli strumenti digitali a disposizione. Dal digital recruiting a LinkedIn. Fondamentale ragionare in termini di personal branding, ricostruendo la propria identità professionale e individuando le hard e soft skill più attrattive. Non solo per rispondere alle opportunità del mercato, ma anche per essere intercettati dal circuito dell’head hunting.
Poi c’è il mondo della selezione, anch’esso chiamato a fare la sua parte. Come?
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Abbattendo i pregiudizi sull’età
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Guardando alle qualità e al potenziale del candidato, a prescindere dalla sua anagrafe
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Aiutando il candidato a sviluppare altre competenze e a considerare nuovi settori e mansioni rispetto alla sua comfort zone competenze
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Motivare i partner a superare il luogo comune che associa i profili talent esclusivamente alle giovani generazioni. A volte al talento non serve per forza dare del “tu”.