NASCONO LE AZIENDE INFLUENCER, PERCHÉ IL MARKETING PASSA DALLA RETE

Un paio di social, mi raccomando LinkedIn, e poi tanta costanza. In sintesi la ricetta per il posizionamento del brand, che si parli di azienda, di manager o di professionisti, sembra sempre la stessa. Almeno secondo un primo assaggio del ricco e variegato mondo del coaching. Nell’universo della formazione, da quella più tecnica alle frontiere del mentoring, è facile incontrare qualcuno che promette facili soluzioni, tra decaloghi e “regole d’oro”, per trovare il proprio posto nel mercato. Che poi si scrive “mercato”, ma si legge “mondo”. Il mondo delle relazioni, del lavoro e della crescita economica e personale.

Per spiccare il volo serve prima immergersi

In realtà il presupposto per costruire e investire in un percorso di crescita stabile e credibile è la capacità di immergersi nel contesto in cui ci si confronta.

La web reputation è, come anticipato, può essere creata attraverso un’attenta selezione delle attività da effettuare in rete, dei contenuti da condividere e delle modalità operative con cui realizzare queste attività. Avere qualcosa da dire, soprattutto online, è determinante, ma prima ancora di riuscire farsi trovare bisogna pensare a “come” vogliamo essere percepiti. Nell’epoca dello scrolling verticale dei contenuti digitali, la vera sfida è catturare l’attenzione, un po’ come avviene per gli influencer. Se per le web star i limiti sono spesso una leva per osare di più, quando si parla di brand identity misura e tempismo sono passaggi obbligati.

Le sfide aziendali nel contesto digitale

In particolare, le aziende più riconosciute nel panorama online si focalizzano su alcuni elementi chiave:

  1. Monitoraggio costante della propria presenza online: un’azione costante, continuativo delle attività svolte in Rete direttamente dall’azienda consente di valutare la percezione del brand da parte degli utenti e, sulla base dell’analisi svolta, permette all’azienda di modificare le strategie adottate, o cambiarle completamente, qualora risultino inefficaci o incidano negativamente sulla web reputation.

  2. Osservazione continua delle conversazioni che si creano attorno al proprio brand: il controllo costante delle interazioni degli utenti garantisce all’azienda di poter intervenire in maniera efficace e tempestiva laddove si dovesse creare una criticità. In questa ipotesi l’azione mirata e immediata può consentire di evitare o limitare gli effetti negativi di una possibile social media crisis.

  3. Divisione dei compiti e individuazione delle competenze specifiche di riferimento: per proteggere la propria reputation digitale l’azienda è chiamata in primo luogo a individuare le figure di riferimento alle quali affidarsi in base alle specifiche competenze. Per poi assegnare alle stesse le singole attività. In particolare, si dovranno valutare 3 diversi aspetti:

  • Web community manager: la redazione, la pubblicazione e la gestione dei contenuti, merita di essere affidata ad un soggetto qualificato, con specifiche competenze in materia di gestione della presenza online. In questa logica dovranno essere individuati, in maniera specifica e dettagliata, i compiti che la stessa figura dovrà svolgere, le tempistiche e le relative modalità. L’azienda che decide, per vari motivi, di affidarsi ad un soggetto poco esperto, rischia di compromettere la propria web reputation. Questo perché, a differenza di quanto i possa percepire, gli errori che di commettono online possono avere un effetto più negativo sulla reputation di quanto possa accadere nella sfera offline.

  • Procedura di pubblicazione: l’azienda dovrà concordare con il soggetto deputato alla pubblicazione online una procedura che dovrà prevedere, a tutela dell’azienda stessa, l’approvazione preventiva di quanto condiviso in rete. L’approvazione può avvenire nelle forme più diverse, può addirittura mancare qualora l’azienda decida di affidarsi totalmente al proprio social media manager, ma inserire una previsione di questo tipo nella propria policy interna significa riservarsi la possibilità di controllare i contenuti e prevenire possibili problematiche che, una volta realizzatesi online, creano inevitabili disguidi e complicazioni che impongono ulteriori attività di gestione.

  • Procedura di gestione delle eventuali crisi: l’azienda, per poter gestire correttamente il proprio percepito in Rete, può adottare una policy interna dedicata alla gestione di una social media crisis. Ciò significa che, nel momento di massima criticità, avere un piano di azione ben definito e specifico consente di: riconoscere il soggetto (o i soggetti) autorizzati ad intervenire e quindi permette di dotarsi del referente corretto per la gestione della crisi; adottare una linea di azione unica e coerente con i valori promossi dall’azienda; limitare i possibili effetti negativi derivanti dall’intervento di un soggetto diverso (per esempio un dipendente) che attraverso le proprie interazioni e le proprie condotte possa amplificare l’effetto negativo della crisi; identificare modalità e tempistiche per gli interventi.

Il falso mito del diritto all'oblio

Il diritto all’oblio può essere un’ancora di salvezza? Un ultimo elemento che deve essere considerato in relazione alla web reputation aziendale è il diritto all’oblio, previsto dall’art. 17 del Regolamento Europeo 679/2016 in tema di protezione dei dati personali (Gdpr). Uno strumento in molti casi erroneamente considerato come “ultima spiaggia” per aggiustare la propria reputazione aziendale su internet e nei social network. La convinzione diffusa è che il diritto all’oblio consenta sempre di eliminare le informazioni negative riguardanti l’azienda pubblicate online.

La dura legge del web

L’articolo in esame, tuttavia, riconosce il diritto alla cancellazione, nella versione inglese “right to be forgotten” unicamente per le persone fisiche, stante l’ambito di applicazione del Regolamento.

Ne deriva, quindi, che la web reputation aziendale non potrà essere gestita sulla base di questo diritto, salvo il caso in cui le notizie di cui si vuole ottenere la cancellazione riguardino persone fisiche che siano direttamente o indirettamente ricollegabili all’azienda; ma questo è un discorso diverso.

a cura di Domenica Berta, Senior HR Consultant