SMARTPHONE SUL LAVORO, UNO STRUMENTO DAVVERO INDISPENSABILE?

“Oggi nessuno dei dipendenti e dei collaboratori, nemmeno il titolare, potrà entrare all’interno dei cancelli dell’azienda con il proprio cellulare. Dimostreremo che siamo capaci di vivere per un giorno senza questa ossessione”. Parola di Massimo Andriotto, imprenditore del settore degli arredi di lusso in provincia di Rovigo. Quando dipendenti e collaboratori hanno letto il messaggio nella chat credevano fosse uno scherzo, invece il titolare faceva sul serio. Lo scorso 18 giugno, la storica Arredambienti di Villadose è stata la prima azienda smartphone free in Italia, almeno per un giorno.

Provocazione o privazione?

Una privazione, certo, ma che ha fatto comprendere ai 20 dipendenti, ai collaboratori, ai clienti e ai fornitori come non sia impossibile fare a meno di notifiche, messaggi vocali e telefonate continue senza rinunciare alla produttività. Anzi, secondo gli stessi protagonisti i benefici sono stati evidenti, per un’esperienza difficile da replicare sul piano della quotidianità, ma comunque capace di restituire una consapevolezza più nitida su come l’uso pervasivo e improprio delle nuove tecnologie incida sulla capacità di concentrazione, problem solving e sulle relazioni tra colleghi. Lo spiega lo stesso titolare dell’azienda di Rovigo: “Ho notato che costituiscono una continua fonte di distrazione per tutti noi. Il personale degli uffici è costantemente distratto da messaggi e chat scolastiche o familiari, senza contare le chiamate dei call center e le notifiche dei social”.>

Linea aziendale, un vantaggio solo per la privacy

Un’esperienza che rappresenta una fonte per tutte le aziende, data l’eccezionalità dell’episodio. Dalle testimonianze raccolte, emerge anzitutto una prima questione: il problema della distrazione sul lavoro per leggere le notifiche e restare aggiornati su social e su whatsapp non si risolve con i telefoni aziendali. Ciò detto, lo smartphone del lavoro contribuisce a tutelare non solo la privacy, ma anche la serenità del personale fuori dagli orari di ufficio, rispettando il diritto di essere offline.

Una coperta di Linus digitale

Nonostante i blocchi dei telefoni aziendali per accedere ai principali social network, download e cloud, il rischio distrazione resta. Questo perché è lo stesso “medium”, a determinare la modalità delle comunicazioni sul lavoro.

Ricevo decine di telefonate al giorno, molte delle quali sono dei miei collaboratori: mi chiamano anche 5-6 volte quando potrebbero benissimo comunicare tutto in un’unica chiamata. Stiamo perdendo la capacità di ragionamento e sintesi e questo si ripercuote sulla qualità del lavoro: il tempo trascorso al telefono è tempo portato via alla mansione che sto compiendo”. Secondo l'imprenditore veneto lo smartphone, anche se aziendale, condiziona le aziende sul fronte della produttività. Intanto decine di aziende lo hanno contattato per replicare la giornata di digital detox improvvisata in provincia di Rovigo.

Mondo business e il turbo delle APP

Stabilire un confine tra uso pubblico e privato delle nuove tecnologie è sempre più complesso. Ormai tutte le aziende si rapportano con i colleghi, i fornitori o i clienti via telefono o whatsapp. Inoltre, se si parla di Empowerment, la Brand Identity di un’impresa passa necessariamente dai social network, non solo sul fronte commerciale, ma anche sul piano della gestione e della selezione delle risorse umane. A prescindere dal ruolo e dalle mansioni, il personale è spesso chiamato ad interagire, condividere o alimentare i contenuti promossi dai vari account aziendali nelle piattaforme messe a disposizione dal web: Facebook, Instagram, LinkedIn, ma anche YouTube. Lo stesso TikTok, grazie alla sua immediatezza comunicativa, comincia ad essere utilizzato in chiave business.

Il paradosso del Phubbing

Se il “tecnostress” è sempre accompagnato da un burnout di notifiche, commenti e interazioni online, c’è un fenomeno che sta dilagando in molti ambienti di lavoro. Soprattutto nei contesti dove il ricorso alle “call”, fondamentali nei lunghi periodi di lockdown di questi primi anni 20, è un po’ scappato di mano. Parliamo del Phubbing.

Il termine "phubbing" indica la combinazione delle parole "phone" (telefono) e "snubbing" (snobbare). In pratica si verifica quando siamo talmente focalizzati sullo schermo del nostro smartphone che ignoriamo o trascuriamo le persone presenti fisicamente intorno a noi. Un comportamento automatico, quasi sempre inconsapevole, ma comunque poco rispettoso e empatico verso gli altri, colleghi compresi.

Una digital policy

A livello giuridico non ci sono disposizioni chiare sulla gestione dei device negli ambienti di lavoro. Fatte salve alcune categorie particolari come i conducenti di mezzi di trasporto pubblico e privato. Come pure alcuni ambiti lavorativi, tra cui ospedali, cliniche e compagnie aeree. Tuttavi l’uso del cellulare sul lavoro può essere considerato un rischio per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori secondo due principi distinti:

  • 1) La valutazione del rischio legato all’esposizione onde elettromagnetiche (benché non ci siano evidenze scientifiche).
  • 2) La valutazione del rischio legato alla distrazione rispetto ai compiti da svolgere.

Nel primo caso basterebbe dotare di dispositivi come cuffie o auricolari il personale che deve effettuare molte telefonate. Per tutto il resto può aiutare predisporre un regolamento interno per il “buon utilizzo” dello smartphone.

Vince la cultura aziendale

Normative a parte e al di là di qualsiasi regolamento interno, la scelta più efficace per prevenire o gestire gli effetti collaterali della tecnologia, è investire su buon senso e relazioni autentiche. Promuovere team building, incontri e occasioni di confronto sviluppa una sana cultura aziendale. A volte, come insegna il simbolico caso di Rovigo, basta solo “staccare la spina” per mettersi davvero in ascolto del collega, del cliente, del capo o del dipendente.