I bias cognitivi da considerare in fase di recruiting
Scegliere il candidato ideale non è un processo semplice perché ogni valutazione è influenzata dai cosiddetti bias cognitivi. Si tratta di processi che il nostro cervello adotta per prendere decisioni in maniera veloce ed efficiente, ma spesso sono influenzati dal nostro giudizio inconscio e creano una realtà soggettiva ben diversa da quella oggettiva.
I bias cognitivi che riguardano la memoria.
I processi della nostra memoria influenzano il modo che abbiamo di percepire un candidato. Ad esempio, quando leggiamo un curriculum, tendiamo a ricordare meglio alcune cose rispetto ad altre. In questo modo il nostro giudizio verrà influenzato maggiormente da alcuni elementi che da altri, portandoci ad una valutazione tutt’altro che oggettiva.
Si tratta in particolare di:
Effetto recency : è quell’aspetto della nostra memoria per cui ricordiamo meglio le informazioni più recenti. Per questo, in fase di selezione, tenderemo a preferire l’ultimo candidato idoneo che abbiamo intervistato, perché più fresco nella nostra memoria.
Effetto della mera esposizione : è quel fenomeno per cui preferiamo quelle caratteristiche con cui abbiamo maggiore familiarità. Se, ad esempio, abbiamo già incontrato un candidato in un’altra occasione, tenderemo a preferirlo ad un altro che vediamo per la prima volta.
Effetto primacy : non è altro che la prima impressione. Si chiama anche bias dell’ancoraggio ed e ciò che si verifica quando la prima impressione che ci dà a pelle un candidato determina la sua valutazione. Ad esempio, un ritardo potrebbe determinare la percezione di scarso interesse nel lavoro oppure una stretta di mano debole diventare sinonimo di scarse doti di leadership.
Quando i bias cognitivi rafforzano le nostre convinzioni.
Il nostro cervello cerca di farci prendere decisioni in modo che le nostre convinzioni vengano rinforzate. Questo potrebbe indurci a qualche errore di valutazione. Vediamo quali bias intervengono in questo caso:
Il falso consenso : è ciò che ci spinge a pensare che le persone che abbiamo di fronte ragionino come noi e siano in accordo con la nostra visione delle cose. Questo potrebbe far credere a un recruiter di fare la scelta del candidato migliore solo perché si trova di fronte una persona che ha i suoi stessi hobby o i suoi stessi valori. Questo bias comporta che spesso, nelle aziende, ci sia il fenomeno dei “cloni”: tutti i nuovi assunti arriveranno dalla stessa università dei senior, avranno i loro stessi hobby.
Stereotipi o pregiudizi impliciti : vengono fuori anche se cerchiamo di farli da parte. Infatti, se ci troviamo di fronte ad un candidato, ad esempio, laureatosi presso un’università prestigiosa, tenderemo a ritenerlo più capace di un altro che ha studiato in un’università meno blasonata; se, invece, fa parte di una squadra sportiva facilmente riterremo che sia la persona più adatta per rafforzare lo spirito di coesione del nostro team di lavoro.
Effetto alone : è quello che la saggezza popolare identifica col motto “vedere solo ciò che si vuol vedere”. La prima impressione che ci faremo sul candidato influenzerà a cascata ogni altro giudizio, nel bene e nel male. È quel bias che ci fa pensare che un candidato dall’aspetto piacevole, poi sia anche più competente.
I bias influenzano il nostro giudizio.
Spontaneamente, durante un’intervista, cerchiamo di validare l’idea che ci siamo fatti di quel candidato nel percorso valutativo precedente, dalla lettura del suo curriculum al primo colloquio. E questo indirizzerà le domande che gli andremo a porre.
Effetto framing : è quel bias cognitivo che ci induce a condurre un’intervista in base alle nostre convinzioni, certi di avere già un quadro definito della situazione. Questo ci porta a fare al candidato domande che indirizzano la sua risposta. In modo altrettanto naturale lui tenderà a compiacerci, dando la risposta che si aspetta che vogliamo sentire, invece di essere se stesso.
Effetto di contrasto : è quello che si verifica quando ci siamo già fatti un’idea di chi potrebbe essere il candidato ideale. Da allora in poi tutti gli altri candidati saranno valutati paragonandoli al nostro prescelto, ma questo potrebbe anche condurci a prendere la decisione sbagliata.
Il processo di recruiting deve essere un processo di “vendita” e persuasione.
Il compito del recruiter è quello di proporre la posizione lavorativa in gioco come qualcosa di appetibile, ma, dall’altro lato, dovrebbe lasciare ai candidati la possibilità di esprimere la propria identità personale e professionale. Questo per trovare il match ideale. A causa di ulteriori bias cognitivi, però, alcune informazioni potrebbero essere interpretate in modo distorto.
Bias della straordinarietà : è quello che ci fa dare una buona valutazione al candidato che possiede caratteristiche che secondo noi sono straordinarie. Ad esempio se parla più lingue o se ha compiuto una qualche impresa, come scalare l’Everest. Non è detto che queste caratteristiche siano determinanti per la posizione che dovrà ricoprire, ma facilmente tenderemo a considerarlo più adatto di altri.
Cinismo naïve : dipende principalmente dalle nostre emozioni. Emerge quando le capacità oratorie di un interlocutore influenzano l’altro interlocutore. Capita soprattutto a recruiter junior di lasciarsi affascinare dall’eloquenza del candidato, perché un esperto sa benissimo che ogni competenza deve essere validata.
Bias dell'entomologo : al contrario della situazione precedente, è ciò che si verifica quando si basa il giudizio solo su dati tecnici. Un candidato potrebbe essere bravissimo, avere delle competenze pratiche eccezionali, ma non avere un atteggiamento positivo verso i colleghi e guastare, così, l’armonia dell’ambiente di lavoro. La valutazione, infatti, dovrebbe tener presente anche lo soft skill.
Effetto Dunning-Kruger : è ciò che accade quando una persona poco esperta in un campo tende a sovrastimare le sue competenze. Attenzione dunque a chi ritiene di essere eccezionale, ma in realtà è un incompetente!
Purtroppo i bias e i pregiudizi che abbiamo qui visto sono difficili da sradicare, perché fanno proprio parte del modo che ha il nostro cervello di valutare le situazioni e prendere le decisioni. Tuttavia, come recruiter e specialisti dell’HR, dobbiamo sempre avere presenti questi “errori di fondo” per cercare di correggere le proprie valutazioni. Se il processo di scelta del candidato ideale va a buon fine, al netto dei bias cognitivi, di sicuro avremo assicurato all’azienda un elemento di valore. E la nostra decisione genererà soddisfazione in tutti, per primi in noi stessi.